ROMA. LE DONNE MORDONO ALLA TRATTORIA SANTOPALATO NEL NOME DEL CIBO BUONO

Prendi tre donne, no, non tre donne qualsiasi, tre donne di radici e di terra, tre donne che nella vita hanno fatto di mangiare e bere mestiere e mettile assieme una sera, in una trattoria che ormai è un punto fermo della ristorazione a Roma, Santo Palato.

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La terza è una vignaiola Valentina Di Camillo, 39 anni passati tra i filari che sono di famiglia da tre generazioni, in provincia di Chieti, la tenuta i Fauri, da 12 anni il padre non mette piede in cantina ha passato la mano a lei e al fratello Luigi, se la sbrigano loro e vincono premi. Ha un sorriso contagioso e descrive un mondo in cui le donne ci sono sempre state, come sua nonna che con orgoglio dice era un’ostessa, ma restavano in seconda fila, ora le cose sono cambiate, anche se lei è l’unica consigliera nel consorzio di tutela dei vini d’Abruzzo.

Il tema è “le donne mordono”, una sera al mese, tutte al femminile, la prossima a inizio marzo ma intanto per cominciare Sarah parte dalle origini e il primo il filo conduttore è l’Abruzzo, patria di tutte e tre.

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Perché tra le cose che hanno in comune queste tre donne, ovviamente c’è il rispetto della materia prima e di come trattarla. La ragione per cui Valentina mi spiega senza presunzione perché non usano barrique, perché dice non avrebbe senso spingere il vino verso sentori diversi. Intanto stiamo bevendo Pecorino, dei vini della serata quello che più guarda al mare, quello che sta all’orizzonte dei vigneti dei Taufi.

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Nel frattempo sono arrivate le pallotte di cacio e ovo al pomodoro e qui si apre una discussione tra la cucina e la sala perché ogni famiglia ha la sua ricetta ma Patrizia non transige, si fanno come dice lei: 30% parmigiano e 70% pecorino, quello di Gregorio Rotolo di Scanno.

E già scatta il bis.

Apriamo il Baldovino Cerasuolo, è il mio preferito della serata. E’ anche il mio preferito, confessa Valentina, perché è il vino dei vignaioli, quello che stava sulle tavole di campagna, struttura e freschezza, 14° e non lo diresti e poi si abbina con tutto e poi aggiunge con orgoglio per me è la sfida, restituirgli la reputazione che merita.

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L’altro è il timballo alla teramana: provo a contare gli strati “saranno 10” dice Patrizia, però secondo me sono di più perché non si tratta di pasta, ma di scrippelle abruzzesi, quelle che altrove chiameremmo crêpes in una versione senza latte, il risultato condito col sugo di pomodoro con le polpettine e la carne condita, besciamella, parmigiano e mozzarella, si scioglie in bocca

Si versa il rosso anzi l’Ottobe Rosso, che è sempre Montepulciano ma tutto un altro corpo e ci accompagna con l’agnello cacio e ovo, che arriva dalla Maiella, allevamento di montagna anche questo, l’uovo e il formaggio finiscono in crema nel condimento e fuori menù lo accompagniamo con verza e patate dovesse mai mancare un contorno.

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